Il “mio” basket d’oltremanica: ”Be Italian, guys!”
12/04/2015Alessandro Campaiola, coach Vivi Basket ci racconta la sua esperienza in Scozia
Se è vero che, nel corso della vita, tutto tende a ripetersi ciclicamente, beh… posso dire di aver vissuto una sorta di Déjà-vu di ciò che accade l’estate del 2011.
Era un luglio caldo, quello successivo al mio primo anno da Capo Allenatore della Under 19 del Basket Portici 2000, quando, in Piazza Amedeo, a Napoli, discutevo con Roberto Di Lorenzo di pallacanestro, delle nostre idee, dei miei piani futuri, al tavolino di un bar.
Un mese più tardi, avrei conosciuto coach Alessandro Rossi al PalaBarbuto, con il quale avrei affrontato tutta la stagione successiva sotto la bandiera del ViviBasket Napoli.
Per me che, da giocatore (tutt’altro che eccellente), quelli del Basket Napoli erano lo “squadrone”, significava raggiungere un primo, piccolissimo traguardo.
Quattro anni dopo, sempre al tavolo di un bar, davanti, però, a due pinte di birra, mi sono ritrovato nella medesima situazione con la responsabile della squadra dei Lions di Edimburgo, in Scozia.
Scambio rapido di opinioni e il giorno successivo ero già in campo a conoscere la mia nuova squadra.
Per la prima volta, quindi, affronto l’esperienza di guidare un gruppo senior, con giocatori anche molto più grandi di me, handicap della lingua a complicare il tutto. Perché parlare inglese è una cosa, comunicare sul campo né è un’altra, soprattutto il disappunto. Ma per questo c’è il napoletano che, non so perché, capiscono tutti. (In squadra ho giocatori scozzesi, greci, lituani, italiani e francesi).
Dopo le prime cinque partite di campionato (4 V, 1 S), la classifica ci sorride. Dove arriveremo lo scopriremo col tempo.
A settembre, poi, la scuola che ospita i nostri allenamenti, la Brougthon High School, mi ha contattato per chiedere la mia disponibilità a seguire il programma extracurricolare dei propri alunni. Ammetto che la cosa, in un primo momento, mi aveva spaventato.
I ragazzini sono molto più difficili e meno pazienti di giocatori esperti. Forse con incoscienza, dopo qualche giorno, ho detto “si” anche a quest’avventura.
Al primo allenamento in palestra ho trovato una situazione disastrosa. La maggior parte dei ragazzi aveva grosse ed evidenti mancanze nei fondamentali.
Ho cominciato da quelli, con allenamenti spesso anche noiosi per ragazzini di 15 o 16 anni, tant’è che i giocatori mi hanno chiesto di invertire la rotta e di lasciarli liberi di divertirsi dopo le pesanti ore di scuola.
Ho accettato la loro provocazione, escludendoli, però, dal campionato, motivandogli la mia decisione: “In questo stato, ogni partita ci vedrebbe sconfitti di almeno 100 punti”.
Dopo qualche settimana, nel post-gara di un match dei “miei” senior, hanno manifestato il desiderio di ricominciare gli allenamenti e ieri abbiamo vinto la prima partita contro un’altra scuola della città (io indossavo la tuta ViviBasket, come al primo allenamento con i Lions).
Per quest’esperienza, ancor più che con i “grandi”, l’anno passato al Polifunzionale funge da importante bagaglio a cui attingere. Grazie alla collaborazione con Alessandro (coach Rossi) e le note tecniche di Roberto, affronto questa sfida con passione e motivazione.
Molti amici dall’Italia mi chiedono delle differenze tra i due mondi. Beh… il basket, ahimè, non gode di buona salute anche qui in Regno Unito. Le società hanno pochi soldi e si fondano principalmente sulla passione degli addetti ai lavori. Diverso discorso, però, va fatto per le scuole pubbliche e private che, nella pallacanestro, come nelle arti e negli altri sport, investono una discreta quantità di fondi, seppur il livello di gioco non sia altissimo.
I giocatori buoni, che non sono pochi, però, preferiscono fare il percorso contrario al mio e cercare fortuna in Europa. È per questo motivo che gli allenatori europei sono richiesti, per invertire la tendenza. Anche perché, in quanto a strutture, sono davvero super attrezzati in ogni quartiere, in centro città, quanto nelle periferie più povere e degradate.
Su cosa insisto maggiormente nella formazione dei “miei” ragazzi? “Be Italian, guys” – “Siate italiani”. Anzi: “Be Neapolitan! Siate passionali, date allo sport tutto il vostro amore, il vostro calore.” Gli scozzesi, purtroppo è vero, tendono a vivere anche quello con equilibrio e pacatezza.
Ora, dopo mesi di allenamenti, si incoraggiano l’un, l’altro, con “Bravo!”, “Attacca!”… e a volte scappa qualche “Vaff….”. Siamo sulla buona strada!
Alessandro Campaiola
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