Genitori, Istruttori e Psicologia nello sport giovanile di Roberto di Lorenzo
02/21/2013La mia esperienza nasce da giocatore (scarso) con un padre sportivo di alto livello, che però non ha voluto che io praticassi una serie di sport per motivi “sociali”. Ho scelto il basket e ne ho fatto la mia vita. Come giocatore ho giocato pochissimo, allenandomi molto ed ottenendo un posto fisso solo quando sono diventato allenatore, presidente e giocatore della società in cui giocavo… Per giocare ho fatto l’allenatore e… ho smesso di studiare.
Varie le mie esperienze ma subito fulminato sulla strada della psicologia dello sport da Sandro Gamba. Ho allenato giovani a Napoli, la serie A, le nazionali giovanili, la serie A, per poi tornare alle giovanili a Napoli da direttore tecnico e dirigente.
Credo che il modello presentato da Tommaso ci aiuti molto a comprendere che in questo momento la capacità di relazionarsi ai ragazzi e quindi alle loro famiglie sia determinante nella riuscita del nostro lavoro.
Lo sport rappresenta una realtà in cui responsabilità individuale, rispetto delle regole si coniuga a divertimento in una situazione di scelta personale del ragazzo (anche se qui ci sarebbe da discutere).
Si dice che lo sport sia scuola di vita, per me lo può essere a patto che si metta una grande attenzione nell’insegnarlo e nel praticarlo.
Un’altra premessa, molte cose di cui parlerò spesso non si riesce a metterle in opera per una serie di situazioni contingenti, ma credo che la coscienza di ciò che deve essere fatto sia il primo passo per raggiungere un obiettivo.
Come arrivano i ragazzi a fare sport:
- Messaggi pubblicità: dai corn flakes, ai giornali, ai compagni di scuola, alla Tv, ai video giochi dove ci si disegna campione (play station)!
- Spinta del genitore: o ex atleta o sue mancate aspirazioni
- Compagni di scuola, amici
Questi messaggi sono molto spesso improntati alla competitività esasperata, al vincere ed primeggiare tra gli altri come unica strada di fare sport.
Il non riuscire nello sport è un vedersi diminuito come immagine verso gli altri (genitori, compagni) e verso se stessi. E’ meglio andare male a scuola che non riuscire nello sport (secchione!)
Il riuscire all’opposto da spesso una prospettiva sbagliata di se stessi nella vita ed una sensazione di intoccabilità!
Da tutto ciò nasce una situazione di stress che va gestita dagli istruttori e dai genitori attraverso un corretta comunicazione tra:
1) Atleti – Istruttori
a) E’ la relazione più importante e può essere danneggiata da improprie critiche da parte dei genitori.
2) Genitori – Istruttori: quanto il tipo di rapporto influisce in modo diretto sull’atteggiamento e sul comportamento del giovane atleta nei confronti dello sport, non è facile definire ma la sua importanza è a mio parere sostanziale.
a) Cosa il coach deve comunicare ai genitori:
– Filosofia di gioco del coach
– Aspettative sul ragazzo
– Organizzazione degli allenamenti
b) Cosa comunicare all’allenatore
– Avere un primo contatto positivo presentandosi e proponendo una collaborazione
– Preoccupazioni particolari: comunicate direttamente al coach (problemi caratteriali, fisici, etc.).
– Problemi pratici (concomitanze di orari, studio, etc.)
– Specifiche preoccupazioni riguardo alla filosofia ed alle aspettative del coach.
c) Di cosa discutere con il coach
– Il trattamento riservato al figlio, mentalmente e fisicamente
– Modi per aiutarlo a crescere
– Preoccupazioni per il suo comportamento
d) Di cosa non parlare con l’allenatore
– Tempo di gioco
– Strategie di gioco
– Schemi chiamati
– Di altri giocatori
e) Come fare se ci sono cose di cui parlare con l’allenatore
– Fissare un appuntamento lontano dalla partita e dall’allenamento, in una situazione tranquilla e riservata.
3) Genitori – Atleti
a) Non cercare di vivere attraverso tuo figlio.
b) Se credi che l’allenatore non stia svolgendo un buon lavoro, non comunicarlo a tuo figlio.
c) Non dare suggerimenti tecnici durante la partita.
d) Non dare un cattivo esempio urlando contro arbitri ed avversari.
- Scegliere lo sport giusto:
o Molti esperti sostengono che i ragazzi devono scegliere lo sport, a mio parere è vero solo in parte poiché sono troppi i messaggi che bombardano i ns. giovani e come genitore si dovrebbe riuscire ad aiutarli.
o Non vediamo solo gli sport di squadra, esistono altri sport in cui si può partecipare con più facilità non scartiamo a priori l’atletica, la canoa, la vela o altri sport che tra l’altro hanno il vantaggio di poter essere praticati per tutta la vita.
- Fattori nella scelta dello sport:
o Il figlio sceglie perché….
- Amici, genitori, tv, etc.
o In un secondo momento si rende conto che non riesce, diamogli l’opportunità di cambiare. Cerchiamo di capire perché vuole cambiare: il coach, la competitività, l’inadeguatezza.
o Il carattere svolge una funzione molto importante, non insistere con un figlio timido a partecipare ad uno sport di squadra quando per lui la corsa di lunga distanza è una situazione con cui si trova bene.
o La domanda centrale è “mio figlio si diverte nel fare sport?”
- La scelta dell’allenatore
Insieme alle abilità tecniche i ragazzi imparano l’importanza di riuscire in un compito, il valore di avere una passione sportiva le ricompense del lavoro di gruppo, la gioia di raggiungere un obiettivo, l’importanza di sforzarsi per eccellenza, l’appoggio di un adulto premuroso ed il gusto dolce di realizzare il successo.
Il programma va in difficoltà quando l’allenatore stressa eccessivamente il concetto di vittoria mettendo in secondo piano gli altri benefici dello sport.
- L’allenatore deve
o Saper insegnare e non solo avere conoscenze tecniche
o Dare entusiasmo, con la voce, con l’esempio sul campo
o Saper ascoltare, avere capacità di comunicare: Il rispetto nasce anche dal dimostrare la volontà di ascoltare gli atleti per tirare fuori che cosa hanno dentro e che aiuto richiede. Comprendere l’importanza dei piccoli problemi, la gelosia tra compagni per esempio.
Aiutare il figlio a sviluppare una sana aspettativa personale, accettando successi e fallimenti che derivano dal praticare uno sport. Questo è uno dei compiti principali che ha un genitore.
- Parla con tuo figlio lontano dalla partita o dalla gara.
- Cerca di stimolarlo a parlare ad esprimere ciò che sente, ciò che gli piace dell’allenamento, le sue esperienze. Ci vorrà tempo perché inizi a parlare.
- Cerca di creare l’auto coscienza di ciò che ha fatto di buono, anche se la squadra ha perso. Se ha giocato male cerca di parlare di cosa ha imparato dagli errori fatti e cosa fare per migliorare in vista delle prossime partite. Comprendere la sensibilità dei ragazzi e quando arriva di cattivo umore condividi i suoi sentimenti, fagli sentire che hai capito. Dagli una prospettiva più ampia della situazione.
Cosa fare con un figlio non atleta: ci sono tante altre possibilità di vivere lo sport, allenatore, giornalista, statistiche, arbitro…!
“Primo l’atleta, secondo vincere” ma il vincere ha un suo valore, si deve imparare dalle vittorie come dalle sconfitte ed occorre spiegarlo ai ragazzi che percepiscono la differenza.
Il modo in cui il ragazzo reagisce allo stress dipende dall’allenatore e dai genitori.
In una ricerca di USA TODAY confermata da molti psicologi si sottolinea che una gran parte dei problemi è creata da genitori che hanno imparato ciò che sanno dello sport dal guardare lo sport professionistico in televisione e si aspettano che i loro figli usino le stesse strategie e tecniche usate dai professionisti. Da genitore ed allenatore bisogna ricordare che non ci si può aspettare da un ragazzo di essere un mini professionista, innanzitutto è un bambino e poi un giovane atleta.
Ma quale che sia il programma sportivo di tuo figlio la cosa più importante è di trasmettergli un amore incondizionato.
Negli Stati uniti è uscito un libro, che sta avendo un gran successo, che titola: Will You Still Love Me If I Don’t Win? ( Mi vorrai bene se non vinco?)